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Consulenza in materia di contratti e lavori pubblici

FAQ - Enti pubblici - Contratti e appalti

In alternativa alla cessione del credito, da parte dello stesso appaltatore, comunque sottoposta alle condizioni di cui all’art. 117, commi 1 e 2 del d.lgs. 163/2006 (Codice dei contratti) e alla legge n. 52/91, la recente novella apportata al Codice consente il pagamento diretto a subappaltatori o cottimisti, ove ricorrano condizioni di crisi di liquidità finanziaria dell’a ffidatario accertate dalla stazione appaltante e comprovate da reiterati ritardi nei pagamenti a favore degli stessi (art. 118 d.lgs. 163/2006 terzo comma come novellato dal d.l. 145/2013, convertito con modifiche in legge n. 9/2014). Tale possibilità è contemplata nell’ambito di appalti in corso, sentito l’affidatario, anche in deroga alle previsioni del bando di gara. Nel caso di procedura di concordato preventivo con continuità aziendale pendente, troverebbe applicazione il nuovo comma 3-bis dell’art. 118 del Codice. La stazione appaltante è comunque tenuta ad assolvere agli obblighi di pubblicità previsti dal terzo comma dello stesso articolo 118.

L’obbligo di produrre copia delle fatture quietanzate, relative ai lavori realizzati dai subappaltatori e cottimisti, entro venti giorni dalla data di ciascun pagamento, è stato introdotto con legge 55/90. Solo con il d.lgs. 113/2007 (c.d. secondo correttivo al codice dei contratti), tuttavia, alla norma è stata correlata la sanzione della sospensione del successivo pagamento. Come argomentato dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici (parere AG 28-08 del 25.9.2008), l’i nterpretazione letterale della disposizione, risultante dalla novella del 2007, non può che intendersi riferita alla sospensione del successivo pagamento dovuto all’appaltatore, nel suo complesso, senza limitazioni di sorta. Tale interpretazione è avvalorata dalla previsione della deroga di cui all’art. 170 comma 7 del regolamento di attuazione del codice stesso, approvato con d.p.r. n. 207/2010, la quale consente il congelamento del credito “pro quota” nel solo caso in cui l’appaltatore motivi il mancato pagamento con la contestazione della regolarità dei lavori eseguiti dal subappaltatore, e sempre che quanto contestato dall'esecutore sia accertato dal direttore dei lavori. Con parere AG-48-10 del 10.2.2011, l’Autorità ha ritenuto che dalla lettura dell’art. 118 comma 3 del codice, non possano desumersi limiti temporali alla sospensione dei pagamenti all’a ppaltatore, in caso di inadempienza. Dalla formulazione della disposizione contenuta al terzo comma dell’art. 118 del codice, si desume, a carico dell’affidatario, l’obbligo di produrre le fatture quietanzate relative ai pagamenti corrisposti al subappaltatore o cottimista con l’indicazione delle ritenute di garanzie effettuate. Non appare pertanto in linea con il disposto normativo l’a pplicazione della sanzione del blocco dei pagamenti successivi dovuti all’affidatario, a motivo della mancata produzione di fatture quietanzate relative allo svincolo di ritenute garanzie, anticipatamente rispetto al collaudo dei lavori, termine previsto dal contratto di subappalto, autorizzato dalla Stazione appaltante.

In alternativa alla cessione del credito, da parte dello stesso appaltatore, comunque sottoposta alle condizioni di cui all’art. 117, commi 1 e 2 del codice e alla legge n. 52/91, la recente novella al terzo comma dell’art. 118, operata dal d.l. 145/2013, convertito con modifiche in legge n. 9/2014, consente il pagamento diretto a subappaltatori o cottimisti, ove ricorrano condizioni di crisi di liquidità finanziaria dell’affidatario, accertate dalla stazione appaltante e comprovate da reiterati ritardi nei pagamenti a favore degli stessi. Tale possibilità è contemplata nell’a mbito di appalti in corso, sentito l’affidatario, anche in deroga alle previsioni del bando di gara. Nel caso di procedura di concordato preventivo con continuità aziendale pendente, troverebbe applicazione il comma 3-bis dell’art. 118 del Codice, introdotto ex-novo dallo stesso decreto legge. È comunque fatto obbligo alla stazione appaltante, di assolvere agli obblighi di pubblicità previsti dal terzo comma dello stesso articolo 118.

L’art. 140 del d.lgs. 163/2006 prevede la possibilità per le stazioni appaltanti di “interpellare progressivamente i soggetti che hanno partecipato all’originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un nuovo contratto per l’affidamento del completamento dei lavori”. La disposizione del testo vigente dispone anche che, qualora in caso di fallimento o inadempimento dell’appaltatore la stazione appaltante decida di interpellare progressivamente i concorrenti successivi in graduatoria, fino al 5° miglior offerente, l’affidamento al soggetto che accetti tale richiesta è effettuato “alle medesime condizioni proposte dall’originale aggiudicatario in sede di offerta” (comma 2 come modificato dall’art. 1, comma 1 lett. dd) del d.lgs. 152/2008) e non alle condizioni proposte da ciascun concorrente interpellato. L’interpello ex art. 140 non costituisce una nuova procedura di gara ma si presenta quale ulteriore segmento dell’originaria procedura di affidamento. Dal punto di vista strutturale non vi è quindi alcuna rinegoziazione delle condizioni di gara e formulazione di nuove offerte (in particolare dopo le modifiche apportate alla norma dal d.lgs. 11 settembre 2008 n. 152, nel rispetto dei principi comunitari). Sotto il profilo funzionale, tale procedura risponde anche all’esigenza di efficienza e buon andamento dell’azione amministrativa (art. 97 Costituzione), attraverso la previsione di un meccanismo operativo semplificato che consente, nelle ipotesi di risoluzione per inadempimento dell’appaltatore o fallimento di quest’ultimo, di affidare il completamento dei lavori mediante scorrimento dell’originaria graduatoria di gara, evitando il più complesso e dispendioso percorso dell’indizione di una nuova gara. Si precisa che l’art. 140 è applicabile ai contratti di lavori pubblici. Si ritiene invece non sia applicabile agli affidamenti di contratti aventi ad oggetto forniture e servizi. Per tali affidamenti l’ipotesi della risoluzione del contratto è disciplinata dall’art. 125, comma 10, lettera a) del Codice.

Qualora la stazione appaltante venga a conoscenza di tale inadempienza può darne notizia all'Autorità attraverso il "Modulo per la segnalazione dei fatti riguardanti la fase di esecuzione dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture" (allegato B al Comunicato del Presidente del 18 dicembre 2013). Il modulo è reperibile sul sito dell'Autorità, www.avcp.it, seguendo il percorso Servizi/Modulistica/Segnalazione per casellario informatico. Per la trasmissione di questo specifico modello, da inviarsi via PEC all'AVCP e per conoscenza all'impresa, non sembra siano previste puntuali tempistiche.

Tale disposizione fa riferimento al mancato rispetto, da parte dell’appaltatore, dell’obbligo di produrre copia delle fatture quietanzate per i lavori realizzati dai subappaltatori e cottimisti, entro venti giorni dalla data di ciascun pagamento. Tuttavia, solo con il d.lgs. 113/2007 (c.d. secondo correttivo al codice dei contratti), alla norma è stata correlata la sanzione della sospensione del successivo pagamento. Come argomentato dall’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici l’interpretazione letterale della disposizione non può che intendersi riferita alla sospensione del successivo pagamento dovuto all’appaltatore nel suo complesso, senza limitazioni di sorta (parere AG 20-08 del 25.09.2008). Un’interpretazione che viene avvalorata anche dalla previsione della deroga, che consente il congelamento del credito “pro quota”, nel solo caso in cui l’appaltatore motivi il mancato pagamento con la contestazione della regolarità dei lavori eseguiti dal subappaltatore, che deve essere accertata dal direttore dei lavori (art. 170 co. 7 d.p.r. 207/2010 Regolamento di attuazione del codice dei contratti). In caso di contestazione potrà quindi essere valutata l’applicabilità della deroga qualora il contratto d’appalto sia stato sottoscritto in data successiva all’entrata in vigore del regolamento. Con parere AG 48-10 DEL 10.02.2011 l’A utorità ha ritenuto che dalla lettura dell’art. 118 comma 3 del codice, non possano desumersi limiti temporali alla sospensione dei pagamenti all’appaltatore in caso di inadempienza. Con lo stesso parere, l’Autorità ha inoltre ritenuto che, nel caso di contenzioso tra le parti private, protrattosi sino al momento del collaudo, l’organo di collaudo proceda a determinare il credito liquido all’appaltatore, ai sensi dell’art. 225 del regolamento. Qualora l’importo delle fatture non trovasse capienza nel residuo credito, l’art. 123 del regolamento contempla due possibili condizioni che consentono alla stazione appaltante di valersi della cauzione definitiva: per la copertura dell'eventuale maggiore spesa sostenuta per il completamento dei lavori nel caso di risoluzione del contratto disposta in danno dell’esecutore, ovvero, per provvedere al pagamento di quanto dovuto dall’esecutore per le inadempienze derivanti dalla inosservanza di norme e prescrizioni dei contratti collettivi, delle leggi e dei regolamenti sulla tutela, protezione, assicurazione, assistenza e sicurezza fisica dei lavoratori comunque presenti in cantiere.

Come espressamente confermato dall’Inps di Udine, la liquidazione del credito maturato da un’i mpresa fallita nel corso dell’appalto deve essere disposto dall’Ente a favore del curatore fallimentare; sarà poi onere degli istituti previdenziali creditori insinuarsi nella procedura fallimentare ai fini della soddisfazione del loro credito come previsto dalla legge fallimentare. Secondo quest’ultima, infatti, il curatore subentra in ogni rapporto attivo e passivo facente capo al soggetto sottoposto alla procedura concorsuale; una diversa interpretazione, inoltre, violerebbe il principio della par condicio creditorum, principio giuridico in virtù del quale i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione.

La competenza legislativa primaria in materia di “lavori pubblici” attribuita alla Regione Friuli Venezia Giulia dall’art. 4, comma 1, punto 9 dello Statuto di autonomia (Legge costituzionale n. 1 del 31 gennaio 1963), deve essere esercitata nel rispetto dei principi della tutela della concorrenza e delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici (Decreto legislativo 163/2006) che costituiscono diretta attuazione delle prescrizioni poste a livello europeo. Devono essere inoltre rispettati i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, tra cui quelli che riguardano la disciplina di istituti e rapporti privatistici relativi, soprattutto, alle fasi di conclusione ed esecuzione del contratto di appalto, che devono essere uniformi sull’intero territorio nazionale, in ragione della esigenza di assicurare il rispetto del principio di uguaglianza.

Sì, la disapplicazione totale o parziale delle penali per ritardo dell’inadempimento non imputabile all’esecutore è ammissibile. Il d.lgs. 163/2006 (Codice dei Contratti pubblici) all’art. 133, comma 9, dispone: “I progettisti e gli esecutori di lavori pubblici sono soggetti a penali per il ritardato adempimento dei loro obblighi contrattuali. L'entità delle penali e le modalità di versamento sono disciplinate dal regolamento”. Dal regolamento dunque si possono trarre indicazioni per la determinazione delle penali, che vengono commisurate all’ammontare netto contrattuale e all’e ntità delle conseguenze legate all’eventuale ritardo dell’adempimento (art. 145 comma 3, d.p.r. 207/2010 Regolamento sui Contratti Pubblici). Viene inoltre stabilito che: "è ammessa, su motivata richiesta dell’esecutore la totale o parziale disapplicazione delle penali, quando si riconosca che il ritardo non è imputabile all’esecutore, oppure, quando si riconosca che le penali sono manifestamente sproporzionate, rispetto all'interesse della stazione appaltante” (art. 145 penali e premio di accelerazione, comma 7). Al riguardo, anche l’art. 1384 del Codice Civile dispone che: “ La penale può essere diminuita equamente dal giudice, se l'obbligazione principale è stata eseguita in parte ovvero se l'ammontare della penale è manifestamente eccessivo, avuto sempre riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento”. Sempre il regolamento (art. 145 comma 8) specifica inoltre che: “Sulla richiesta di disapplicazione decide la stazione appaltante su proposta del responsabile del procedimento, sentito il direttore dei lavori e l’organo di collaudo ove costituito”. L’articolo 133, comma 9, del d.lgs. 12 aprile 2006, non trova applicazione con riferimento ai contratti pubblici relativi ai settori speciali; per questi ultimi, infatti, valgono le sole norme dei settori ordinari richiamate dall’art. 206, comma 1, del medesimo decreto legislativo, tra le quali non figura il citato art. 133.

Il cumulo costituisce la regola nel caso di requisiti di natura tecnico-professionale. In materia di RTI è consentito il cumulo nel caso di taluni requisiti speciali. La ratio del raggruppamento d’imprese è quella di ampliare le possibilità di partecipazione alla gara ai soggetti singolarmente sprovvisti di tutti i requisiti speciali richiesti, accrescendo in tal modo la concorrenza per il mercato (Del. AVCP n. 64 del 16/07/2009 e n. 13 del 28/01/2010; d.lgs. 163/06 art. 37). L’istituto del RTI consente, pertanto, di cumulare i requisiti di natura tecnica ed economica prescritti dalla normativa e specificati nella lex specialis (bando di gara), facendo riferimento alla sommatoria dei mezzi e delle qualità delle imprese che fanno parte del raggruppamento. Occorre, tuttavia, distinguere tra requisiti di capacità tecnico-professionale e requisiti di capacità economico-finanziaria: mentre il cumulo costituisce la regola ai fini della dimostrazione dei requisiti di natura tecnica, la stessa regola non vale in caso di requisiti di natura economico-finanziaria, in ordine ai quali occorre considerare il regime di responsabilità che vige nei confronti della Stazione Appaltante in capo alle imprese raggruppate (responsabilità solidale o pro quota: art. 37 commi 5 e 6 d.lgs. 163/2006 - parere di precontenzioso AVCP n. 159 del 17/12/2009 ). Nell’ambito dell’ampia discrezionalità amministrativa esercitata dalle stazioni appaltanti, le stesse hanno facoltà di prescrivere nella lex specialis una soglia quantitativa minima di requisiti per ciascuna impresa del raggruppamento, al fine di evitare un eccessivo frazionamento degli stessi, a scapito di una corretta valutazione di affidabilità del concorrente. L’unico limite a tale facoltà sarebbe costituito dal principio di proporzionalità, ragionevolezza e non eccedenza rispetto all'oggetto dell'appalto (Consiglio di Stato, sez. V, 24/10/2006, n. 6353; 24 agosto 2006, n. 4969; 7 luglio 2005, n. 3737).

L’accordo di cessione volontaria può essere concluso in qualsiasi momento prima che sia eseguito il decreto di esproprio. All'atto di cessione volontaria fa espresso riferimento il "Testo Unico in materia di espropriazione per pubblica utilità", in base al quale: “Il beneficiario dell'esproprio ed il proprietario stipulano l'atto di cessione del bene qualora sia stata condivisa la determinazione della indennità di espropriazione e sia stata depositata la documentazione attestante la piena e libera proprietà del bene” (art. 20 comma 9 DPR 327/2001). L’atto di cessione volontaria può essere concluso in qualsiasi momento, il Testo Unico prevede, infatti, che: “fin da quando è dichiarata la pubblica utilità dell’opera e fino alla data in cui è eseguito il decreto di esproprio, il proprietario ha il diritto di stipulare col soggetto beneficiario dell’espropriazione l’atto di cessione del bene o della sua quota di proprietà” (art. 45 comma 1); l’accordo di cessione produce gli effetti del decreto di esproprio (comma 3), costituisce, quindi, atto conclusivo del procedimento di espropriazione, comportando l'effetto traslativo della proprietà interessata dalla realizzazione dell'opera pubblica. Secondo costante giurisprudenza, la cessione volontaria di immobili oggetto di una procedura espropriativa rientra nella categoria dei negozi di diritto pubblico (o ad oggetto pubblico). La cessione volontaria, infatti, in quanto sostitutiva del decreto di espropriazione, di cui produce i medesimi effetti, non perde la sua connotazione di atto autoritativo implicando, più semplicemente, la confluenza, in un unico testo, di provvedimento e negozio (cfr. Corte di Cassazione Sez. I civ. n. 19980 del 16 settembre 2009; Tar Puglia Sez. I Lecce n. 1953 del 30 luglio 2009, Tar Calabria, Reggio Calabria n. 688 del 18 luglio 2007; Corte di Cassazione Sez. I civ. n. 11843 del 22/05/ 2007; Corte di Cassazione Sez. I civ. n. 8217 del 02/04/2007; Corte di Cassazione Sez. I civ. n. 3040 del 13/02/2007 C.d. Stato 20/08/2013 n. 4179).

La disciplina dei Raggruppamenti Temporanei di Impresa (RTI) prevede che unico interlocutore con la stazione appaltante sia il soggetto mandatario. “Ai fini della costituzione del raggruppamento temporaneo, gli operatori economici, devono conferire, con un unico atto, mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, detto mandatario” (Art. 37 comma 14 d.lgs. 163/2006 Codice dei Contratti…) Dal punto di vista dei rapporti tra Stazione Appaltante e RTI, all’impresa mandataria “spetta la rappresentanza esclusiva, anche processuale dei mandanti nei confronti della Stazione Appaltante per tutte le operazioni e gli atti di qualsiasi natura dipendenti dall’appalto, anche dopo il collaudo, o atto equivalente, fino all’estinzione di ogni rapporto” (comma 16). La SA dovrà perciò relazionarsi solo con l’impresa mandataria, restando del tutto estranea ai rapporti intercorrenti tra i soggetti componenti il raggruppamento. Ne consegue che la SA potrà disporre il pagamento esclusivamente nei confronti della capogruppo, essendo per legge l’unico soggetto legittimato a riceverlo, anche se in presenza di fatturazioni separate dei singoli associati.

Il privato titolare del permesso di costruire può bandire la gara per la realizzazione delle opere a scomputo degli oneri di urbanizzazione. Sotto il profilo soggettivo la disciplina in questione (art. 32, comma 1, lettera g) d.lgs. 163/2006) configura una titolarità “diretta” della funzione di stazione appaltante, in capo al privato titolare del permesso di costruire (ovvero titolare del piano di lottizzazione o di altro strumento urbanistico attuativo contemplante l’e secuzione di opere di urbanizzazione), che in quanto “altro soggetto aggiudicatore” è tenuto ad appaltarle a terzi, secondo i principi e le norme di derivazione comunitaria (Determinazione Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici n. 7 del 16 luglio 2009). Il privato in qualità di stazione appaltante è esclusivo responsabile dell’attività di progettazione, affidamento e di esecuzione delle opere di urbanizzazione, ferma restando l’approvazione del progetto e la vigilanza da parte dell’amministrazione comunale. Tale interpretazione è peraltro coerente con la normativa urbanistica, la quale prevede che il privato (attuatore del piano e/o titolare del permesso di costruire), soggetto al versamento degli oneri di urbanizzazione, possa facoltativamente liberarsi da tale obbligo mediante la realizzazione diretta delle opere di urbanizzazione. Per individuare l’a ppaltatore il privato dovrà applicare le medesime norme cui è tenuta l’amministrazione comunale quando affida l’esecuzione di lavori pubblici di corrispondente tipologia ed importo. Troveranno quindi applicazione le procedure di gara previste dal Codice (aperta o ristretta e solo nei casi tassativamente previsti dagli articoli 56 e 57 la procedura negoziata), le norme sulla pubblicità (articoli 66 e 67), sul rispetto dei termini (artt. 70-72), sui requisiti di partecipazione (artt. 38-49), sulla cauzione provvisoria (art. 75) sui criteri di aggiudicazione (prezzo più basso o offerta economicamente vantaggiosa, artt. 81-84), la disciplina delle offerte anomale (artt. 86-88), le comunicazioni obbligatorie e la corresponsione del contributo all’Autorità).

La clausola penale, disciplinata dagli articoli 1382 – 1384 del codice civile, limita il risarcimento del danno alla misura stabilita dalle parti, soltanto in relazione all’ipotesi pattuita. Ne consegue che, ove sia stata stipulata per il semplice ritardo e si sia verificato l'inadempimento, essa non è operante nei confronti di questo secondo evento (Cassazione 9 nov. 2009 n. 23706;). Funzione della clausola penale è quella di determinare preventivamente e forfetariamente l'entità del danno che si potrebbe subire in caso di inadempimento o ritardo. Essa è dovuta indipendentemente dalla prova del danno: il creditore non ha quindi l’onere di provare il pregiudizio subìto. Specularmente, il debitore non è ammesso a provare che il danno effettivo sia inferiore all’ammontare della penale. Come detto, la penale non può operare se non con riferimento all'ipotesi prevista dalle stesse parti, le quali possono, tuttavia, stabilire che oltre alla penale sia comunque risarcibile il danno ulteriore; tale danno ulteriore andrà però provato (Cassazione 22 nov. 2002 n. 16492). La penale può, inoltre, essere ridotta dal giudice se è manifestamente eccessiva o se l'obbligazione principale è stata in parte eseguita (art. 1384 C.C.).

Non esiste una definizione normativa di "indagine di mercato". L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici la definisce come “un sondaggio esplorativo tendente ad acquisire una conoscenza dell’assetto di mercato e dunque dell’esistenza di imprese potenziali contraenti e del tipo di condizioni contrattuali che sono disposte a praticare, senza alcun vincolo in ordine alla scelta finale” (AVCP Determinazione n. 2/2011). L’indagine di mercato può essere effettuata con le modalità che si ritengono più opportune per individuare i concorrenti maggiormente idonei a soddisfare le finalità che si vogliono perseguire attraverso la gara. L’esperimento di tale indagine garantisce la correttezza e l’imparzialità dell’azione della stazione appaltante.

Il Responsabile del Procedimento (RUP) è il tecnico interno all’amministrazione, che nel sistema di realizzazione dei lavori pubblici garantisce all’amministrazione, in qualità di esperto, il coordinamento ed il controllo di tutto il processo amministrativo e realizzativo di quel lavoro pubblico. La legge regionale 14/2002 prevede che, in caso di insufficienza delle risorse interne, il RUP possa essere un professionista esterno ovvero un dipendente di altra pubblica amministrazione (art. 5 comma 8).

Il Ministero del lavoro ha chiarito che, fermo restando che la regolarità contributiva non può essere autocertificata (Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali n. 12/2012) l'impresa può presentare una autodichiarazione in luogo del Documento unico di regolarità contributiva (DURC) in specifiche ipotesi previste dal legislatore: per il possesso del requisito di ordine generale previsto all’art. 38 del Codice dei contratti (art. 38 comma 1 lettera i) d.lgs. 163/2006), ipotesi soggetta a verifica ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, e per i contratti di forniture e servizi fino a ventimila euro, stipulati con la pubblica amministrazione e le società in house (art. 4, comma 14-bis, del d.l. 70/2011 convertito in legge n. 106/2011), ipotesi soggetta alla verifica di cui all’art. 71 del d.p.r. 445/2000 (verifica a campione). Il DURC è considerato valido per la durata di 120 giorni (art. 31 comma 5 del D.L. 69/2013). A partire dal 1° luglio 2013, l’acquisizione del DURC deve avvenire esclusivamente per Posta Elettronica Certificata (PEC) (art. 3, comma 2, DPCM 22 luglio 2011). Si ricorda che le stazioni appaltanti pubbliche sono obbligate ad acquisire il DURC d’ufficio (art. 38 comma 3 d.lgs. 163/2006 Codice dei contratti così come modificato dall’art. 31 comma 2 del d.l. 69/2013).

Con l'introduzione del DURC nel quadro della disciplina giuridica degli appalti pubblici, la verifica della regolarità contributiva è stata demandata agli enti previdenziali le cui certificazioni si impongono alle stazioni appaltanti che non possono sindacarne il contenuto (Decreto Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale 24 ottobre 2007). In sede di composizione di un conflitto giurisprudenziale, il Consiglio di Stato ha chiarito che nel settore previdenziale tutte le inadempienze debbono essere considerate “gravi” e che “la valutazione compiuta dagli enti previdenziali è vincolante per le stazioni appaltanti. Data la natura giuridica del DURC, infatti, in capo alle Stazioni appaltanti non residua alcun margine di valutazione o di apprezzamento in ordine ai dati ed alle circostanze in esso contenute (Consiglio di Stato Adunanza Plenaria sentenza n. 8 del 4 maggio 2012). Si segnala peraltro che il contrasto di giurisprudenza era già stato risolto con il d.l. n.70/2011 convertito in legge n. 106 del 12 luglio 2011 che modificando il testo dell’articolo 38 comma 2 del Codice aveva già stabilito espressamente la vincolatività della valutazione dell’amministrazione previdenziale per le procedure i cui bandi o avvisi o inviti fossero successivi al 14 maggio 2011. Con la sentenza dell’Adunanza Plenaria l’orientamento giurisprudenziale è stato pienamente recepito in sede normativa trovando così applicazione certa anche per le operazioni contrattuali temporalmente precedenti. Pertanto, come espressamente affermato dalla Plenaria “la nuova disposizione si limita a recepire e consolidare un orientamento interpretativo già formatosi in precedenza che si pone in linea di continuità e non quindi di innovazione rispetto all’assetto previdente”.

Il comma 1 dell'art. 58 della L.R. 14/02 prevede che le disposizioni di cui agli articoli 56 e 57 della stessa legge – inerenti la disciplina per la concessione ed erogazione di finanziamenti ad enti pubblici - si applichino anche ai soggetti privati a partecipazione pubblica, successivamente definiti al comma 2 del medesimo articolo. Il dettato letterale della norma parla di capitale sociale, che consiste nel valore delle somme e dei beni conferiti dai soci, a titolo di capitale di rischio, all'atto di costituzione di una società. L'interpretazione letterale della norma, quindi, sembrerebbe escludere l'applicabilità della stessa a fattispecie diverse dalle società. Tuttavia, anche le associazioni a partecipazione pubblica sono da ritenere assoggettate alle modalità di concessione/erogazione dei finanziamenti, ai sensi degli articoli 56 e 57 della legge regionale 14/2002, laddove presentino le caratteristiche proprie dell'organismo di diritto pubblico (come definito dall'art. 1, paragrafo 9, della direttiva 2004-18-CE), in quanto esso è annoverato tra i soggetti a cui la legge regionale citata è applicabile (art. 3, comma 1).

I due istituti hanno una “ratio” diversa. L'avvalimento è quell’istituto giuridico di derivazione comunitaria che trova la sua puntuale disciplina negli articoli 49 e 50 del D.lgs. 163/2006 (Codice dei contratti pubblici). La sua applicazione consente ad un operatore economico che partecipa ad una procedura di gara per l'affidamento di un appalto pubblico, per il quale è richiesto il possesso di determinati requisiti, di avvalersi dei requisiti di un altro operatore economico. L’istituto dell’avvalimento risponde ad un’esigenza di ampliamento della concorrenza ed ha come scopo quello di soccorrere un’impresa che non potrebbe partecipare ad una gara specifica qualora sprovvista dei requisiti richiesti. L'avvalimento trova esplicazione e compimento nella fase di partecipazione. Il subappalto invece (disciplinato dall’art. 118 del D.lgs. 163/2006) è norma di ordine pubblico e rappresenta una modalità organizzativa di esecuzione dei lavori: un soggetto, pienamente qualificato e in possesso di tutti i requisiti, può subappaltare ad altro imprenditore una parte dei lavori, restando fermo che i requisiti devono essere posseduti al momento della presentazione dell’offerta di gara e non possono che essere del soggetto partecipante. Deve, pertanto, “ritenersi escluso il ricorso all’avvalimento nell’ambito del subappalto”, poiché come sopra specificato, l'avvalimento risponde ad una ratio pro-concorrenziale che si esaurisce nella fase di partecipazione alla gara (determinazione dell’Autorità n. 2 del 01.08.2012). Anche il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti con circolare 30 ottobre 2012, n. 4536 ha chiarito che l’art. 49, comma 10 del codice non può essere inteso in deroga all’art. 118 del medesimo Codice.

In assenza di più precise indicazioni in seno al decreto in oggetto indicato, appare corretto riferirsi tanto ai ricavi afferenti alle opere pubbliche quanto a quelli derivanti dalle opere private. Infatti, a fronte del dato letterale della norma (art. 3 comma 1 lettera c) D.P.Reg. 0374/Pres./2004) nonché dalle specificazioni riportate in coda alla tabella A del medesimo decreto, i dati da tenere in considerazione debbono riferirsi all'ammontare della cifra d'affari derivante dall'attività caratteristica svolta nell'ultimo quinquennio che, si ritiene, contempli entrambe le fattispecie con l'esclusione dei ricavi non imputabili direttamente ai lavori.

Le disposizioni normative in materia non prevedono, in generale, tale facoltà (art. 37 del D.lgs. 163/2006 Codice dei Contratti pubblici). Tuttavia, una certa giurisprudenza ritiene legittima l’introduzione nei bandi di gara di clausole finalizzate a limitare la facoltà di associazione nei confronti di imprese che già singolarmente sono in grado di partecipare alla gara, ciò al fine di evitare il rischio di una restrizione della platea dei partecipanti e quindi del confronto concorrenziale. Tali clausole, pertanto, in relazione alle specifiche caratteristiche del mercato, rientrano tra le opzioni a disposizione della stazione appaltante (Consiglio Stato, VI, 19 giugno 2009, n. 4145). Peraltro, una clausola in tal senso non vieta a tali imprese di costituire un raggruppamento, ma impedisce loro di associarsi, consentendo alle stesse l'associazione con imprese prive di requisiti per partecipare singolarmente.

L'istituto del cd. "prezzo chiuso" comporta mere modalità di adeguamento del prezzo pattuito al tasso reale di inflazione, senza pervenire ad alcuna rideterminazione del rapporto contrattuale (art. 133, comma 3 d.lgs. 163/2006 Codice dei contratti). La compensazione prezzi costituisce invece una modalità di adeguamento dei prezzi che, in deroga al principio generalizzato del divieto di revisione degli stessi, risponde all’esigenza di ristabilire l’equilibrio delle prestazioni a fronte di un aumento delle singole voci di costo dei materiali determinato da circostanze eccezionali, ed entro i termini previsti dal legislatore (art. 133, commi 4 e seguenti d.lgs. 163/2006). Entrambe le procedure, a pena di decadenza, si attivano ad istanza di parte.

ultimo aggiornamento: Tue Oct 18 14:27:39 CEST 2016